Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

martedì 8 maggio 2018

Storia - Classe seconda - modulo II - Unità 5 e 6


Il basso impero

T 1 Gli Unni
Dalle Storie di Ammiano Marcellino[1]
1.      Il popolo degli Unni, poco noto agli antichi storici, abita al di là delle paludi Meotiche lungo l'oceano glaciale e supera ogni limite di barbarie. Siccome hanno l'abitudine di solcare profondamente con un coltello le gote ai bambini appena nati, affinché il vigore della barba, quando spunta al momento debito, si indebolisca a causa delle rughe delle cicatrici, invecchiano imberbi, senz'alcuna bellezza e simili ad eunuchi.
2.      Hanno membra robuste e salde, grosso collo e sono stranamente brutti e curvi, tanto che si potrebbero ritenere animali bipedi o simili a quei tronchi grossolanamente scolpiti che si trovano sui parapetti dei ponti. Per quanto abbiano la figura umana, sebbene deforme, sono così rozzi nel tenore di vita da non aver bisogno né di fuoco né di cibi conditi, ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po' di tempo fra le loro cosce ed il dorso dei cavalli.
3.      Non sono mai protetti da alcun edificio, ma li evitano come tombe separate dalla vita d'ogni giorno. Neppure un tugurio con il tetto di paglia si può trovare presso di loro, ma vagano attraverso montagne e selve, abituati sin dalla nascita a sopportare geli, fame e sete. Quando sono lontani dalle loro sedi, non entrano nelle case a meno che non siano costretti da estrema necessità, né ritengono di essere al sicuro trovandosi sotto un tetto.
4.      Adoperano vesti di lino oppure fatte di pelli di topi selvatici, né dispongono di una veste per casa e di un'altra per fuori. Ma una volta che abbiano fermato al collo una tunica di colore appassito, non la depongono né la mutano finché, logorata dal lungo uso, non sia ridotta a brandelli. Usano berretti ricurvi e coprono le gambe irsute con pelli caprine e le loro scarpe, poiché non sono state precedentemente modellate, impediscono di camminare liberamente. Per questa ragione sono poco adatti a combattere a piedi, ma inchiodati, per così dire, su cavalli forti, anche se deformi, e sedendo su di loro alle volte come le donne, attendono alle consuete occupazioni.
5.      Stando a cavallo notte e giorno ognuno in mezzo a questa gente acquista e vende, mangia e beve e, appoggiato sul corto collo del cavallo, si addormenta così profondamente da vedere ogni varietà di sogni. E nelle assemblee in cui deliberano su argomenti importanti, tutti in questo medesimo atteggiamento discutono degli interessi comuni.
6.      Non sono retti secondo un severo principio monarchico, ma, contenti della guida di un capo qualsiasi, travolgono tutto ciò che si oppone a loro. Combattono alle volte se sono provocati ed ingaggiano battaglia in schiere a forma di cuneo con urla confuse e feroci. E come sono armati alla leggera ed assaltano all'improvviso per essere veloci, così, disperdendosi a bella posta in modo repentino, attaccano e corrono qua e là in disordine e provocano gravi stragi. Senza che nessuno li veda, grazie all'eccessiva rapidità attaccano il vallo e saccheggiano l'accampamento nemico.
7.      Potrebbero poi essere considerati senz'alcuna difficoltà i più terribili fra tutti i guerrieri poiché combattono a distanza con giavellotti forniti, invece che d'una punta di ferro, di ossa aguzze che sono attaccate con arte meravigliosa, e, dopo aver percorso rapidamente la distanza che li separa dagli avversari, lottano a corpo a corpo con la spada senz'alcun riguardo per la propria vita. Mentre i nemici fanno attenzione ai colpi di spada, quelli scagliano su di loro lacci in modo che, legate le membra degli avversari, tolgono loro la possibilità di cavalcare o di camminare.
8.      Nessuno fra loro ara né tocca mai la stiva di un aratro. Infatti tutti vagano senza aver sedi fisse, senza una casa o una legge o uno stabile tenore di vita. Assomigliano a gente in continua fuga sui carri che fungono loro da abitazione. Quivi le mogli tessono loro le orribili vesti, qui si accoppiano ai mariti, qui partoriscono ed allevano i figli sino alla pubertà.
9.      Se s'interrogano sulla loro origine, nessuno può dare una risposta, dato che è nato in luogo ben lontano da quello in cui è stato concepito ed in una località diversa è stato allevato. Sono infidi ed incostanti nelle tregue, mobilissimi ad ogni soffio di una nuova speranza e sacrificano ogni sentimento ad un violentissimo furore. Ignorano profondamente, come animali privi di ragione, il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono d'un'immensa avidità d'oro. A tal punto sono mutevoli di temperamento e facili all'ira che spesso in un sol giorno, senza alcuna provocazione, più volte tradiscono gli amici e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si rappacificano.

5. Gli ultimi bagliori dell’impero - Dopo quarantadue anni di regno della dinastia dei Severi, con l’assassinio nel 235 di Alessandro Severo da parte della soldatesca ammutinata, la situazione politica del Basso Impero precipitò. I militari elessero imperatore il centurione Massimino il Trace (primo imperatore di umili origini). Dopo di lui, ucciso da una cospirazione del senato, per trentacinque anni, in uno stato di anarchia militare, si succedettero ventuno imperatori[2] che morirono quasi tutti di morte violenta.
Il potere imperiale quasi non esisteva più: regnava l’anarchia
·         i Germani, sospinti da tribù provenienti dalle steppe euroasiatiche, premevano alle frontiere del mondo romano.
·         l’economia entrò in crisi perché dall’estero non affluivano più ricchezze e l’inflazione mone­taria si accentuava, gettando nella miseria gran parte del popolo romano.
·         la cultura classica, tramontò sommersa da nuove dottrine filosofiche e dal diffondersi del Cristianesimo.
Per salvaguardare la pace Roma fu costretta a pagare tributi a parecchi popoli vicini e nonostante questo:
·         i Parti inviarono una spedizione contro Antiochia e da strappare ai Romani il controllo sull’Armenia,
·         i Goti occupavano le città di Calcedonia e Nicomedia.
Aureliano (270-275 d.C.), un imperatore di origine illirica tentò di riprendere in mano la situazione:
·         fortificò le città,
·         condusse una campagna contro la regina di Palmira (Siria), Zenobia,
·         recuperò la Gallia, la Spagna, la Bretagna.
·         tentò di rialzare il prestigio dell’imperatore dinanzi al popolo facendosi proclamare emanazione del sole.
Ma l’Impero romano era travagliato da una crisi difficilmente sanabile.
La pressione dei barbari alle frontiere, insieme con l’anarchia militare che dilagava all’interno, sarebbe stata una delle cause della decadenza e, in seguito, dello smembramento dell’Impero.
Alla preoccupante situa­zione politica si era aggiunta anche una gravissima crisi socio-economica:
·         La borghesia, sulla quale l’Im­pero aveva trovato appoggio nei suoi giorni migliori, si era ormai paurosamente impoverita a causa delle continue rapine e violenze delle soldatesche scatenate;
·         le campagne erano state ab­bandonate dai coltivatori.
·         la sproporzione fra le masse sempre più povere e la minoranza sempre più aggressiva dei privilegiati.
Questa situazione pro­vocò anche una crisi demografica proprio nel momento in cui la pressione barbarica sui confini germanici, danubiani e orientali richiedeva maggiori forze per essere contenuta. Imperversava una grave crisi monetaria che, in breve tempo, portò ad una altissima inflazione; i prezzi salirono così alle stelle, aggravando la miseria dei ceti popolari.

5. 1. Il Cristianesimo nel III secolo – Il riflesso della crisi del III secolo si riverbera anche nella storia cristiana, infatti fu un uno dei periodi tra i più movimentati della cristianesimo: esso vide, infatti, l’accrescersi della nuova fede e la sua capillare diffusione in tutto l’impero, ma anche il propagarsi di eresie e, soprattutto, vide persecuzioni da parte dello Stato e, con esse, l’insorgere di nuovi gravi problemi disciplinari.
a) La persecuzione di Decio Decio che aveva conquistato nel 248 il trono imperiale, seguì una politica di restaurazione religiosa, inaugurata con il sacrificio annuale sul Campidoglio nel Gennaio del 250, con l’ordine che il sacrificio fosse ripetuto nei Campidogli di tutte le città dell’impero.
Quello che fino ad allora era stato un atto formale divenne così una sorta di censimento religioso, con la persecuzione di quanti non si fossero presentati per fare sacrifici e tra questi c’erano, ovviamente, i cristiani.
Vennero immediatamente arrestati e uccisi i vescovi delle più importanti città imperiali: Fabiano a Roma, Babila ad Antiochia, Alessandro a Gerusalemme e molti altri con loro.
La persecuzione del 250 fu un duro colpo per la Chiesa, anche a causa delle defezioni di molti cristiani.
b) I ‘lapsi’ e il Concilio di Cartagine – Gli apostati, coloro che avevano preferito rinnegare la propria fede per aver salva la vita, furono generalmente definiti lapsi o caduti.
Quello dei lapsi divenne presto un serio problema nella Chiesa antica, soprattutto dopo la persecuzione di Decio: molti di loro chiedevano, infatti, a persecuzione finita, di essere riammessi nella Chiesa. Questo procurò molte preoccupazioni pastorali.
Si imposero così trattamenti diversi: ad esempio, lo scismatico Novato aveva un atteggiamento di grande tolleranza nei loro confronti, a differenza di Novaziano che era invece particolarmente rigido.
Al Concilio di Cartagine, nel 251, si decise, con un certo equilibrio, che i lapsi fossero riammessi alla piena comunione con la Chiesa soltanto in punto di morte.
c) La persecuzione di Valeriano  Una nuova persecuzione scoppiò nel 257 ad opera dell’imperatore Valeriano. Questi si limitò, in un primo momento, a confiscare i beni ecclesiastici e a destituire i cristiani che ricoprissero cariche pubbliche o comunque importanti.
In seguito cercò soprattutto di colpire le gerarchie della Chiesa. Trovarono così la morte in questa persecuzione, tra gli altri, S. Cipriano e il vescovo di Roma Stefano.

5.2. Il Basso Impero romano - Rappresentò l'ultima parte della storia politica romana che va dalla presa di potere di Diocleziano nel 284 alla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476, anno in cui Odoacre depose l'ultimo imperatore legittimo, Romolo Augusto.
a) Diocleziano - Diocleziano dovette affrontare la disastrosa situazione quando nel 284 assunse il potere imperiale. Divise il potere con il commilitone Massimiano[3] a cui affidò il compito di governare l’Occidente. Sedi degli Augusti erano Nicomedia e Milano, capitale d’Occidente fino al 404.
Domata una ribellione in Egitto, Diocleziano si dedicò alla riorganizzazione dell’Impero. Ripartì il territorio in 12 diocesi che comprendevano più province. Tentò di consolidare le finanze stabilendo un tetto a salari e prezzi ed imponendo un regime di doppia tassazione, sulla proprietà fondiaria e sulla persona.
Nel 293 creò la tetrarchia un sistema di governo nel quale l’autorità sovrana si era divisa in quattro parti, tanto che, nei decreti ufficiali, comparve per la prima volta il plurale maiestatis
Divise l’Impero in due parti, una orientale e una occidentale, ciascuna delle quali avrebbe dovuto essere governata da un imperatore, un Augusto, assistito da un Cesare, che sarebbe diventato, automaticamente, il suo successore. I due Augusti scelsero rispettivamente come capi­tali Milano e Nicomedia mentre Roma conservò solo una preminenza morale in base alla quale il potere fu ripartito tra due Augusti, lui e Massimiano.
In questo modo veniva inaugurata l’epoca del dominato (da dominus, signore).
L’Impero conobbe di nuovo una certa prosperità, ma la libertà individuale subì molte restrizioni:
·         fu vietato abbandonare il proprio mestiere,
·         i coloni furono vin­colati alla terra,
·         la qualifica di cittadino scomparve sostituita da quella di suddito.
Nel 303, di fronte all’opposizione suscitata dal rilancio del carattere divino del l’imperatore, emanò una serie di editti di persecuzione contro i cristiani.
Nel 305, malato, depose il potere con Massimiano a favore dei Cesari.
Con l’istituzione della tetrarchia, le spinte eccentriche furono in qualche modo frenate. Nonostante il carattere autoritario, la tetrar­chia non si rivelò una formula di governo stabile, poiché subito dopo i primi tetrarchi essa fu corrosa dalle inevitabili contese dei loro successori. Inoltre si verificò in questi anni una progressiva marginalizzazione delle aree più antiche dell'impero a vantaggio di un oriente assai più prospero quanto a politica, amministrazione e cultura.
b) Costantino - Dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano sembrò funzionare il meccanismo della tetrarchia: i due Cesari divennero Augusti e nominarono altri due Cesari.
Alla morte di Costanzo Cloro si scatenò la lotta alla successione. Tra tutti i pretendenti prevalsero:
·         in Occidente il figlio di Costanzo Cloro, Costantino (che sconfisse il rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio[4] a Roma nel 312)
·         in Oriente Licinio (nominato da Diocleziano, intervenuto per calmare i contrasti).
Nel 313 i due imperatori, incontratisi a Milano, emanarono un Editto, con il quale concedevano libertà di culto ai cristiani e promulgavano leggi in loro favore sebbene un editto di tolleranza fosse già stato emesso, in favore dei Cristiani, da Galerio, nel 311.
Nel 324, quando Licinio prese a perseguitare di nuovo i cristiani, Costantino gli mosse guerra e, sconfittolo, divenne unico imperatore sia per l’Occiden­te sia per l’Oriente, con suo figlio Costanzo come Cesare, ristabilendo così ristabilì oltre che la riunificazione di tutti i domini romani anche l’eredita­rietà del potere imperiale.
Il regno di Costanti­no fu contraddistinto da due fatti d’importanza capitale per l’evoluzione dell’Impero: il ricono­scimento ufficiale del Cristianesimo e la fondazione di Costantinopoli.
Rese quindi più efficiente l’esercito e ampliò l’apparato burocratico, inoltre la figura dell’imperatore fu definitivamente assimilata a quella del sovrano assoluto di stampo orientale, circondato da un’aura sacrale.
Sotto il regno di Costantino la religione cristiana assunse se non ancora ufficialmente, la posizione di religione privilegiata, per quanto Costantino non avesse ripudiato nettamente il culto solare di Mitra e solo in punto di morte si fosse convertito al Cristianesimo. Nei confronti del Cristianesimo egli adottò una politica sempre più favorevole, arrivando a esortare i sudditi orientali ad abbracciare questa religione e affidando ai cristiani incarichi nell’esercito e nella pubblica amministrazione. Politicamente, Costantino seguì molto da vicino le vicende della Chiesa, allora in fase di organizzazione, nella quale le dispute teologiche si succedevano numerose e accese.
Nel 325, quando una d’esse, sorta a proposito di un dog­ma sostenuto dal prete Ario, sembrò minacciare l’ordine interno, l’Imperatore convocò a Nicea, un concilio di prelati che condannò formalmente l’eresia ariana.
Nel 332, dopo aver sconfitto i Goti, Costantino morì nel 337, mentre si preparava ad affrontare i Persiani.

T 2 La battaglia di ponte Milvio, dove nacque l’Europa cristiana
di Giulio Saletti
1.      Ci sono battaglie che segnano la storia. Canne, Bouvines[5], Azincourt[6], Verdun[7]. Battaglie che scandiscono le cronologie come cippi miliari sulle strade delle civiltà. Ma ci sono poi battaglie, come Maratona o Lepanto, che la storia la cambiano. Battaglie sospese sul ‘punto di biforcazione’, per usare un concetto caro al fisico Ilya Prigogine[8], che piegano gli eventi verso mondi completamente diversi, imprimendo alla freccia del tempo il tratto dell’irreversibilità.
2.      La battaglia di ponte Milvio, combattuta il 28 ottobre 312, è tra queste. Quando 1700 anni fa l’esercito di Costantino incrociò l’armata di Massenzio a un passo da Roma, il mondo che ne uscì non sarebbe più stato come prima. Un anno dopo, l’editto di Milano sulla libertà di culto avrebbe spianato la strada alla cristianità. Là l’Europa affonda le proprie radici.

T 3 L'errore in battaglia che cambiò la storia del mondo
1.  L’avanzata di Costantino lungo la via Flaminia viene così arrestata a Saxa Rubra (Rocce Rosse), a 13 chilometri a nord di ponte Milvio, dove gli uomini di Costantino riescono a sconfiggere senza grandi difficoltà una parte delle forze di Massenzio, costrette a ripiegare immediatamente sul ponte.
2.  A questo punto, nell’intento di accerchiare Costantino, o forse per permettere l’attraversamento del fiume ai suoi soldati in ritirata, anche Massenzio, accompagnato dalle sue truppe scelte, lascia la città.
3.  I due eserciti si affrontano così presso il ponte, situato a soli tre chilometri da Roma: i soldati di Massenzio, che combattono con le spalle al fiume, non hanno possibilità di fuga, l’unica via di ritirata è rappresentata dal ponte stesso.
4.  Massenzio è convinto che la struttura in legno, provvisoriamente costruita per essere rimossa rapidamente in caso di necessità, reggerà il peso delle sue truppe in ritirata, ma si sbaglia nuovamente: il ponte cede e l’improvviso crollo lascia la maggior parte dell’esercito senza via di scampo.
5.  Seguono violenti combattimenti nei pressi del fiume; entrambi gli schieramenti si danno battaglia con accanimento e nella confusione dello scontro gli uomini di Costantino riescono a distinguere i compagni dagli avversari grazie al monogramma cristiano dipinto sugli scudi.
6.   Quando anche la sua guardia del corpo è annientata fino all’ultimo uomo, Massenzio riconosce di aver perso e, nel tentativo di fuggire a cavallo, cade nelle acque del Tevere, dove muore annegato. Costantino fa recuperare il suo corpo e il giorno successivo, entrando trionfalmente nella città conquistata, i suoi soldati mostrano esultanti la testa mozzata di Massenzio.
7.  In seguito alla brillante vittoria, che gli vale il dominio sulle province occidentali dell’Italia e del Nord Africa, Costantino, mantenendo la parola data, si converte al Cristianesimo e, ricevendo il battesimo nel 337, diviene un modello per il mondo intero (il suo esempio sarà seguito anche da Clodoveo, Carlo Magno e Ottone III).
8. L’opera di Costantino, vale a dire la cristianizzazione dello Stato romano, segna dunque l’inizio di una nuova epoca: se Roma avesse resistito all’assedio e gli uomini di Costantino, maggiormente esposti agli attacchi avversari e isolati dai rifornimenti, fossero stati costretti alla ritirata, quest’epoca non avrebbe avuto inizio, o quantomeno sarebbe stata posticipata.
9. Ciò dimostra come gli errori di valutazione commessi da Massenzio sul ponte Milvio non abbiano soltanto deciso l’esito di una battaglia, quanto piuttosto cambiato la storia del mondo.

T 4 In hoc signo vinces
1.      Dopo la vittoria su Massenzio Costantino venne accolto in modo trionfale a Roma e dichiarato formalmente l’unico imperatore d’Occidente esistente. Dedicò la sua affermazione al Dio dei cristiani, di cui vietò le oppressioni sistematiche e proseguendo così quanto avviato, a partire dal 306 d.C., in Gallia e Britannia. 
2.      Grazie alla sua opera protettrice il Cristianesimo poté espandersi senza che i suoi fedeli fossero sottoposti ripetutamente ad azioni dannose ed aggressive mentre i suoi ministri ufficiali del culto ottenevano diversi vantaggi. Con l’editto del 313 d.C. Costantino stabilì la cessazione definitiva delle sopraffazioni violente condotte ai danni dei cristiani, che ebbero inizio con Nerone.
3.      Costantino affermò di aver avuto, in uno spazio di tempo compreso fra il tardo pomeriggio e la mezzanotte del 27 ottobre, una apparizione miracolosa, i cui particolari si differenziano, tuttavia, a seconda dei testi dai quali si attingono le informazioni. Lattanzio (Africa, 250 d.C. approssimativamente – Gallia, successivamente al 317 d.C.) sostiene che nell’apparizione si comandava a Costantino di mettere un simbolo grafico, che faceva riferimento a Cristo, sugli scudi dei propri fanti. Il retore cristiano parla di questo simbolo grafico come di uno staurogramma [9].
4.      Invece Eusebio (Cesarea in Palestina, 265 d.C. – Cesarea in Palestina, verosimilmente 340 d.C.) riferisce due versioni dell’evento. La prima, riportata nella Storia ecclesiastica, dichiara in modo esplicito che il Dio dei cristiani favorì Costantino, ma non cita alcuna apparizione. Nella Vita di Costantino Eusebio offre, al contrario, una narrazione particolareggiata dell’apparizione, asserendo di averla ottenuta dal medesimo sovrano. Stando a questa versione Costantino era in cammino con le sue truppe quando, guardando verso il sole, osservò una croce luminosa e sotto di essa era scritto in greco antico «Εν Τουτω Νικα» (con questo vinci), tradotto in latino con la frase «In hoc signo vinces» (con questo segno vincerai).
5.      In un primo tempo rimase dubbioso su quale fosse il significato dell’apparizione, ma, durante la notte, Costantino sognò il Cristo che lo invitava ad utilizzare il segno della croce contro i suoi avversari. Eusebio prosegue affermando che il vessillo, adoperato da Costantino nel conflitto che lo vide opporsi a Licinio (Moesia, 265 d.C. approssimativamente – Tessalonica 325 d.C.), aveva la raffigurazione del monogramma di Cristo (ΧΡ).

T 5  E se avesse vinto Massenzio
Di Sandro Bari
1.      Nella Storia contano i fatti e le ipotesi restano tali. Se Massenzio avesse vinto la battaglia contro Costantino, la storia sarebbe cambiata, non sapremo mai come.
2.      Massenzio ha tutte le carte per vincere. Ha il favore del popolo romano, del Senato e dei fedeli pretoriani; ama Roma e la romanità; si dimostra magnanimo coi vinti; è tollerante verso il Cristianesimo pur non rinnegando le sue credenze pagane (a lui si deve l’editto di Nicomedia); dispone di un esercito almeno quattro volte superiore a quello nemico.
3.      Costantino è forte e valoroso, ma crudele: ha fatto sbranare prigionieri per divertimento; ha fatto strage di soldati arresi, dopo aver loro promesso salvezza; farà una feroce rappresaglia appena conquistata Roma. Pur essendo osservante del culto del dio Sole, sfrutterà la dottrina cristiana a suo uso, intrigando con i senatori romani, giocando sul concetto di “un dio unico” senza rinunciare alla sua carica di “pontefice massimo” del paganesimo.
4.      Editti e concili sono da lui usati per gestire il potere assoluto. Il suo battesimo nel palazzo del Laterano in Roma è molto dubbio e sembra essere in realtà una “garanzia” in punto di morte. La sua interpretazione del Cristianesimo si manifesta con l’uccisione di cittadini e militari sospettati di tradimento, nonché lo sterminio della sua famiglia: il primo figlio Crispo[10], Massimiano, Licinio, Liciniano, la moglie Fausta.
5.      La leggenda della “visione dell’angelo”, da lui stesso diffusa molto dopo la presa di potere, gli consente di circondarsi di un’aura quasi soprannaturale, aiutato in ciò dal mondo cristiano, che ne fa il suo campione e che gli attribuirà poi la famosa “donazione” dei beni temporali (dimostratasi poi falsa).
6.      Oggi altre versioni spiegano scientificamente la “visione”, come la teoria di Fabrizio Falcone e Bruno Carboniero.
7.      Costantino toglie potere ad ogni altra autorità che interferisca col suo assolutismo; riforma le legioni portandole da 6000 uomini a 1500; scioglie la potente guardia pretoriana; nel 335 istituisce la tetrarchia dinastica di parenti imbelli. Fonda la sua nuova capitale in Oriente: megalomane, in una corte sfarzosa si copre di gioielli e vesti preziose, sottraendo a Roma enormi ricchezze e rendendola vulnerabile con lo smantellamento delle difese. Alla sua morte, Roma e l’impero sono in rovina, aperti alla discesa dei barbari.
8.      Massenzio, al quale basterebbe schierare il suo esercito in riva sinistra del Tevere aspettando il nemico, interpreta male la profezia “perirà il nemico di Roma” e, con imperdonabile errore strategico e tattico, trasferisce l’esercito oltre il Fiume attraversando ponte Milvio e un ponte improvvisato, probabilmente di barche, poche decine di metri più a monte.
9.      Nella piana in riva destra del Tevere tra Prima Porta e Saxa Rubra, dove dovranno manovrare circa 240.000 uomini, Costantino, sceso da Malborghetto, lancia la cavalleria gallica che sgomina i possenti cavalieri numidi di Massenzio. La massa enorme dell’esercito di Roma, incalzata dagli attaccanti, viene chiusa nella sacca dell’ansa tiberina: i due stretti ponti non basteranno a permettere l’attraversamento del Fiume, dove anche Massenzio troverà la morte.
10.  La Storia scritta dai vincitori descriverà poi Massenzio come sopraffattore e despota; Costantino sarà il “liberatore” della città nella quale farà strage, assurgerà a simbolo di una religione nella quale non crede e infine sarà la causa diretta della fine della grandezza di Roma e dell’Impero.
11.  Ma continua ad essere definito “il grande”.
12.  Roma avrebbe potuto continuare ad essere maestosa nel suo impero, chissà per quanto tempo ancora, se in questa storia avesse vinto il “buono”.
13.  Ma i disegni del Fato sono incontrovertibili.

 

c) Da Giuliano a Teodosio – Alla morte di Costantino gli succedettero i tre figli Costante, Costanzo e Costantino II. Costanzo, prevalso sui fratelli, scelse come successore Giuliano, il generale che aveva sconfitto gli Alamanni nel 357. 
Questi, circondatosi di intellettuali e filosofi pagani cercò di escludere i cristiani dalle cariche dirigenziali e tentò di restaurare il paganesimo (i cristiani lo soprannominarono l’Apostata, cioè il Rinnegatore, poiché aveva abbandonato la religione cristiana). Per acquistare prestigio presso il popolo progettò di eliminare totalmente l’Impero persiano ma morì in battaglia. Verso la fine del IV secolo i Goti, spinti dagli Unni, arrivarono al confine danubiano e chiesero di essere ammessi nell’Impero. 
Valente, imperatore d’Oriente, accettò, sperando di utilizzarli nell’esercito, ma i continui saccheggi nelle regioni imperiali portarono alla guerra. Nel 378 ad Adrianopoli, in Tracia, l’esercito romano fu duramente sconfitto. I Goti dilagarono allora in Tracia, saccheggiando e distruggendo. Graziano, già imperatore d’Occidente, rimase sul trono, mentre in Oriente fu eletto imperatore un generale spagnolo, Teodosio nel 379. 
Invece di continuare a combattere, Teodosio contrattò la pace e i Goti divennero alleati dell’Impero, sposarono donne romane ed ebbero incarichi dirigenziali. Graziano e Teodosio, nel 380, promulgarono l’Editto di Tessalonica, con il quale il Cristianesimo diventava l’unica religione dell’Impero e veniva cancellata ogni usanza pagana (sacrifici, giochi olimpici, templi).


d) Il Cristianesimo da Costantino a Teodosio – Il 313 d.C. è l'anno dell'Editto di Milano, con il quale il Cristianesimo ottiene la libertà di culto.
Quando Costantino si pose alla testa del movimento cristiano ci fu ancora una fase di discussione fra intellettuali di ogni religione e di ogni confessione cristiana. Costantino, che con l'Editto di tolleranza del 313 aveva avviato una sempre più sistematica integrazione della Chiesa all'interno delle strutture politico-amministrative dello Stato, ritenne di dovere favorirne lo sviluppo e la purezza delle dottrine.
Per questo convocò nel 325 a Nicea il primo concilio ecumenico generale della Chiesa, durante il quale furono condannate le dottrine eretiche di Ario e fu elaborata la prima stesura organica del credo cristiano.
Alla fine del IV e nel V secolo la crisi dell'impero arrivò a un grado tanto profondo da portare sconforto in ogni settore: militare, politico, civile, economico e culturale. Per l'uomo non sembrava esserci più alcuna speranza in questa terra. L'unica salvezza era in Cielo.
Il Cristianesimo divenne l'unica religione legale nel 391 con l'imperatore Teodosio. Allora i Cristiani erano circa il 50% della popolazione dell'Impero, ma rappresentavano la stragrande maggioranza nelle città: una crescita notevole se si pensa che all'epoca di Costantino i Cristiani erano solo il 30% e nelle campagne la religione cristiana era diffusa solo marginalmente.
Allora la Chiesa divenne intollerante e autoritaria, la lotta alle idee divenne fondamentale per la gestione sociale e la libertà di pensiero fu resa impossibile.
Subito si pose il problema del rapporto tra Cristianesimo e Stato, l'Impero romano.
Il Cristianesimo, da religione messianica di ambientazione ebraica e con un messaggio prettamente ad "uso e consumo" degli ebrei, grazie alla sua diffusione negli ambienti della diaspora e all'apertura volta da San Paolo ai "romani", nel corso dei secoli aveva acquistato una forza tale da cambiarne lo status giuridico: da religione illecita (fino a Costantino) a religione tollerata e in seguito, con Teodosio I, a religione di Stato.
Con i concili ecumenici si assistette ad una definizione rigorosa dell'ortodossia e alla formazione di un linguaggio teologico specifico cristiano, mutuato dalla filosofia greca.
Invano l'imperatore Giuliano (361-363) aveva tentato di tornare al politeismo. Ma la società stava cambiando. Per la cultura greco-romana, la situazione stava precipitando. La razionalità, per quanto profonda, non era più sufficiente a spiegare un mondo immerso nella "decadenza". L'ansia e l'angoscia non accennavano a diminuire. La struttura politica aveva già perso da tempo la sua vecchia autorità morale.
Era nata una nuova istituzione a carattere "spirituale", la chiesa cristiana che si rivolgeva direttamente al cuore dell'uomo. Un'organizzazione, ispirata al monoteismo cristianizzato, che da "giovane ribelle ingenua" si era fatta "adulta e responsabile".
La Chiesa riempì il vuoto morale che si era creato nell'umanità e assorbì tutte le richieste di giustizia. L'impero diventava un impero celeste. In nome di una giustizia migliore, in tutto il mondo conosciuto divenne impossibile esprimere opinioni contrarie a quelle del potere. L'autorità civile si associò a quella religiosa e arrivava ovunque. La legge e la giustizia in generale erano considerate come concessione volontaria di un solo Dio onnipotente. Non c'era più un patto con la divinità: bisognava solo amarla e ringraziarla. Gli imperatori e gli uomini che nacquero da quest'epoca in poi furono sempre più spesso fervidi credenti. L'educazione che ricevevano e la cultura che seguivano sarebbero state sempre più monolitiche e dogmatiche.
Dal suo riconoscimento ufficiale era passato mezzo secolo. Dopo qualche decennio di diatribe teologiche, la Chiesa cristiana divenne la sola istituzione che garantisse il diritto, per i popoli e per i cittadini. Nel 392 tutte le opinioni che discordavano da questa visione del mondo furono dichiarate illegali e perseguite militarmente.
Mentre, in precedenza, guerre e assassini avvenivano per motivi chiaramente politici, con la creazione dell'impero gli intenti aggressivi furono mascherati da un’ideale tendenza a un bene "universale". Con l'incontro fra stato e chiesa questa tendenza divenne ancora più impellente e ancora più difficile da raggiungere.
D'altronde la gente comune era sempre più spaventata dalle incursioni di popoli stranieri, i "barbari". Questa interpretazione passò per essere una cosa scontata. La Chiesa era quella solida struttura di sicurezza che l'uomo non riusciva più ad individuare nello Stato, nell'Impero. L'esistenza terrena era perennemente in bilico ed era molto lontana dall'assicurare la felicità. L'occidente si era separato dall'oriente. Erano arrivati gli stranieri. Si era sviluppata "l'organizzazione universale". Il mondo antico si era dissolto, lasciando spazio a una nuova visione della vita.

T 6 il senso dell’editto di Milano
Da una lettera di Costantino[11]
1.   "...Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente ci incontrammo nei pressi di Milano e discutemmo di tutto ciò che attiene al bene pubblico e alla pubblica sicurezza, questo era quello che ci sembrava di maggior giovamento alla popolazione, soprattutto che si dovessero regolare le cose concernenti il culto della divinità, e di concedere anche ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita, affinché qualsivoglia sia la divinità celeste possa esser benevola e propizia  nei nostri confronti e in quelli di tutti i nostri sudditi.
2.   Ritenemmo pertanto con questa salutare decisione e corretto giudizio, che non si debba vietare a chicchessia la libera facoltà di aderire, vuoi alla fede dei cristiani, vuoi a quella religione che ciascheduno reputi la più adatta a se stesso. Così che la somma divinità, il cui culto osserviamo in piena libertà, possa darci completamente il suo favore e la sua benevolenza.
3.  Perciò è opportuno che si sappia..., cosicché, abolite del tutto le precedenti disposizioni imperiali concernenti i cristiani, ora, invece, in assoluta tranquillità, tutti coloro che vogliano osservare la religione cristiana possano farlo senza alcun timore o pericolo di molestie...”.

T 7 L’editto di Tessalonìca[12]
1. «Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità.
2.  Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste.»

T 8 Se l’imperatore Valente avesse sconfitto i Visigoti ad Adrianopoli
Abbiamo ricordato nel testo l’importanza della battaglia di Adrianopoli: la sconfitta dell’esercito dell’Impero d’Oriente aprì le porte dell’Europa orientale all’avanzata dei barbari.
Fu una sconfitta inevitabile? Lo storico americano Barry S. Strauss ha risposto di no.
«La catastrofe fu resa più dolorosa dalla consapevolezza che avrebbe potuto essere evitata. Se l’imperatore avesse atteso i rinforzi oppure attaccato il mattino seguente con truppe rifocillate e riposate, l’esito sarebbe stato probabilmente diverso. Né si può sottovalutare il ruolo del caso. La cavalleria visigota arrivò sul campo di battaglia solo all’ultimo minuto; avesse ritardato, i Visigoti non avrebbero vinto».
Quali sarebbero potute essere le conseguenze di una vittoria di Valente ad Adrianopoli? È ancora Strauss a illustrarle:
«E se l’Impero romano fosse sopravvissuto? E se si fosse ripreso dalla crisi [...]? Con le risorse dell’Impero d’Occidente ad aiutarlo, l’Impero romano d’Oriente o bizantino avrebbe potuto sconfiggere i musulmani nel VII secolo, continuando a fare del Mediterraneo un lago cristiano. I rivali germanici e slavi di Roma si sarebbero sviluppati al di là del Reno e del Danubio o forse Roma avrebbe finito per conquistare anche loro. Ci sarebbero stati, naturalmente, periodi di disordine, inevitabili invasioni [...]. L’Impero, però, si sarebbe sempre ripreso e avrebbe potuto persino espandersi, andando nel momento di massima espansione dalla Mesopotamia al Marocco e dalla Britannia all’Elba, alla Vistola o addirittura, chissà, al Dnepr»[13]

T 9 La tomba nel Busento[14]
Cupi a notte canti suonano
Da Cosenza su ‘l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.

Su e giù pel fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
Il gran morto di lor gente.

Ahi sì presto e da la patria
così lungi avrà il riposo,
mentre ancor bionda per gli omeri
va la chioma al poderoso!

Del Busento ecco si schierano
Su le sponde i Goti a prova,
e dal corso usato il piegano
dischiudendo una via nuova.

Dove l’onde pria muggivano,
cavan, cavano la terra;
e profondo il corpo calano,
a cavallo, armato in guerra.

Lui di terra anche ricoprono
E gli arnesi d’or lucenti;
de l’eroe crescan su l’umida
fossa l’erbe de i torrenti!

Poi ridotto ai noti tramiti,
il Busento lasciò l’onde
per l’antico letto valide
spumeggiar tra le due sponde.

Cantò allora un coro d’uomini:
"Dormi, o re, nella tua gloria!
Man romana mai non violi
La tua tomba e la memoria!"

Cantò, e lungo il canto uditasi
Per le schiere gote errare:
recal tu, Busento rapido,
recal tu da mare a mare. 

d) Il crollo dell’Impero d’Occidente – Morto Teodosio, unico imperatore dalla morte di Graziano, gli succedettero i figli Arcadio a Oriente e Onorio ad Occidente che, ancora giovani, furono affidati al generale di origine vandala Stilicone.
I Goti, controllati tramite concessioni di terre e denaro, divennero sempre più esigenti e decisero di penetrare in Italia guidati da Alarico. Stilicone, nonostante li avesse sconfitti, patteggiò la pace. Altri barbari premevano in Gallia e Spagna: Svevi, Alamanni e Vandali. La classe dirigente, trasferita la capitale a Ravenna e fatto uccidere Stilicone, cercò di affrontare gli invasori.
Alarico, nel 410, saccheggiò Roma; il suo successore, Ataulfo, fondò nelle Gallie il primo Regno barbarico e sposò la sorella di Onorio. Nel frattempo, i Vandali di Genserico conquistarono Cartagine, impadronendosi della provincia d’Africa nel 429.
Nel 430 l’Impero d’Occidente era costituito dall’Italia, da parti della Gallia e da poche terre nei Balcani. All’inizio del V secolo fecero irruzione in Europa, saccheggiando molte città orientali, gli Unni, popolazione asiatica guidata dal feroce Attila. Il generale romano Ezio, alleatosi con i Visigoti, li affrontò e sconfisse ai Campi Catalaunici, nella Francia del nord nel 451.
Quando Attila tornò in Italia, l’anno seguente, devastando il Veneto, gli andò incontro il papa Leone I, per contrattare la pace. Colpiti dalla peste, gli Unni si ritirarono e Attila morì nel 453 in Pannonia. Cessato il pericolo degli Unni, l’Impero era ormai stremato. Capo effettivo, nonostante l’imperatore fosse Valentiniano III, discendente di Teodosio, era il generale Ezio.
Morto Valentiniano III nel 455 i Vandali devastarono Roma spogliandola di tutte le sue ricchezze. Dopo un periodo in cui regnarono vari imperatori controllati dal barbaro Ricimero, il patrizio Oreste fece proclamare imperatore il figlio Romolo Augustolo.
Dopo pochi mesi, costui fu deposto da Odoacre, capo dell’esercito barbaro al servizio dell’Impero, che accettò da Zenone, imperatore d’Oriente, di governare l’Italia. Di fatto era la fine dell’Impero d’Occidente nel 476. Ma questa è un’altra Storia

T 10 Inno a Roma
Dal De redditu suo[15] di Rutilio Namaziano[16]
Ascolta, o regina, tu la più bella
del mondo su cui signoreggi, o Roma,
o madre di dei, per i tuoi templi
noi non siamo lontani dal cielo:
te noi cantiamo e canteremo sempre,
sino a che lo concederanno i fati.
Nessun uomo, sino a quando ha vita,
può dimenticarsi di te.
Un colpevole oblio annienti il sole
prima che svanisca dal mio cuore
la venerazione che ho per te.
Tu estendi infatti i tuoi benefici,
simili a  raggi sole,
per le terre che sono circondate
dal fluttuante Oceano.
Lo stesso Febo, che il mondo intero
riveste e rischiara di sua luce,
compie il suo corso in tuo onore:
dalle tue terre esso risorge,
nelle tue terre tramonta.
La Libia dalle infuocate arene
non ostacolò il tuo cammino,
né ti respinge l’Orsa,
sebbene armata dal suo intenso gelo:
quanto le plaghe abitate si estendono
verso i gelidi poli, tanta terra
è al tuo valore aperta.
Tu hai fatto per genti diverse
un’unica patria: fu gran fortuna
per genti barbare di essere annesse
al tuo dominio. Mentre tu offri ai vinti
di essere partecipi del tuo diritto,
hai fatto città
quello che prima era il mondo

Laboratorio
Rileggi il Carmen saeculare di Orazio e riassumilo strofa per strofa, leggi e parafrasa questi versi di Virgilio:
«Abbinsi gli altri de l’altre arti il vanto;
Avvivino i colori e i bronzi e i marmi;
Muovano con la lingua i tribunali,
Mostrin con l’astrolabio e col quadrante
Meglio del ciel le stelle e i moti loro:
Chè ciò meglio sapran forse di voi:
Ma voi, Romani miei, reggete il mondo
Con l’imperio e con l’armi, e l’arti vostre
Sien l’esser giusti in pace, invitti in guerra;
Perdonare a’ soggetti, accòr gli umíli,
Debellare i superbi.» 

Laboratorio
1.  Istituisci un confronto fra i tre brani letterari che parlano di Roma, individuando i punti comuni e le differenze.
2.  Spiega le ragioni delle differnze dovute alle epoche storiche nelle quali si contestualizzano i tre brani.

T 12 Il sacco di Roma di San Girolamo
1. Mentre così vanno le cose a Gerusalemme, dall’Occidente ci giunge la terribile notizia che Roma viene assediata, che si compra a peso d’oro la incolumità dei cittadini, ma che dopo queste estorsioni riprende l’assedio: a quelli che già sono stati privati dei beni si vuol togliere anche la vita. Mi viene a mancare la voce, il pianto mi impedisce di dettare.
2. La città che ha conquistato tutto il mondo è conquistata: anzi cade per fame prima ancora che per l’impeto delle armi, tanto che a stento vi si trova qualcuno da prendere prigioniero. La disperata bramosia fa sì che ci si getti su cibi nefandi: gli affamati si sbranano l’uno con l’altro, perfino la madre non risparmia il figlio lattante e inghiotte nel suo ventre ciò che ha appena partorito.


[1] Ammiano Marcellino – Ammiano era nato ad Antiochia nel 330, da una famiglia greca. Militò nell'esercito romano sotto Costanzo II e di Guliano. Ritiratosi a vita privata nel 363, si stabilì a Roma dal 380 alla morte avvenuta intorno al 400. A Roma fu in contatto con i circoli pagani, e si dedicò all'attività di storico.
I suoi Rerum Gestarum libri XXXI continuano le Storie di Tacito, narrano gli avvenimenti dalla morte di Domiziano nel 96 a quella di Valente nel 378. A noi rimangono solo gli ultimi 18 libri (353-378) relativi alle vicende contemporanee.
Nella sua storia, ancorata agli schemi classici e con ambizioni letterarie, mostra un verismo drammatico a volte minuzioso. Interpreta i fatti con sostanziale equilibrio, anche se il suo apprezzamento dei valori tradizionali della civiltà romana l'indussero a un certo distacco dai problemi contemporanei, come il cristianesimo e i barbari, mai trattati compiutamente. Sottolinea l'estraneità dei barbari e del cristianesimo alla tradizione romana, della quale Giuliano è presentato come l'esemplare difensore.
Le fonti, per le vicende contemporanee, sono di prima mano e solo raramente letterarie.
Il linguaggio, ricco di clausole ritmiche, è a volte oscuro ma intensamente espressivo.
[2] L’anarchia militare – Tra il 238 e il 284, periodo detto dagli storici anarchia militare, il potere passò tra le mani di 21 imperatori di cui 19 perirono assassinati. Lo Stato era vicino al tracollo: gruppi di Germani, tra cui i Goti varcavano i confini, a Oriente premeva la dinastia dei Sassanidi, discendenti dei Persiani.
Durante il regno di Gallieno (253-268), alcune regioni, organizzatesi autonomamente pur rimanendo fedeli all’Impero, riuscirono a contenere l’avanzata nemica. Le frontiere furono ristabilite al Reno e al Danubio.
L’anarchia militare di questo periodo fu arrestata dai cosiddetti imperatori illirici, tutti nativi della Dalmazia, i quali furono tutti valenti soldati, fautori della più rigida disciplina e fedeli all’ideale di Roma.
I principali fra essi furono Claudio II, soprannominato il Gotico (268-270) per le sue vittorie sui Goti e gli Alamanni, questi ultimi originariamente un'alleanza di tribù germaniche stanziate attorno alla parte superiore del fiume Meno.
Aureliano (270-275) che continuando l’operato del suo predecessore cinse Roma di una poderosa cerchia di Mura (Mura Aureliane).
Probo (276-282) e Caro (282-283) che continuarono a difendere l’Impero contro le sempre più frequenti irruzioni dei barbari.
[3] Massimiano, (250-310) di modesta famiglia, pervenne agli alti gradi dell'esercito: Diocleziano se lo associò nell'impero prima nel 285 come Cesare, poi nel 286 come Augusto, attribuendogli l'Occidente con residenza a Treviri. Combatté sui confini, contro Alamanni, Burgundi, Franchi e in Gallia represse moti insurrezionali; perseguitò i cristiani.
Dopo la creazione della tetrarchia, cedute a Costanzo Cloro la Britannia e la Gallia, passò a Milano e successivamente in Africa dove combatté i Mauretani insorti.
Abdicò con Diocleziano nel 305, ritirandosi in Lucania donde però fu riportato al potere l'anno dopo dal figlio Massenzio, contro il quale tuttavia si alleò successivamente con il genero Costantino. 
In seguito Massimiano tramò contro quest'ultimo e, arrestato nei pressi di Marsiglia, si diede la morte (o forse fu ucciso). 
[4] La battaglia di Ponte Milvio, fu un’importante battaglia nel corso della quale Costantino avrebbe avuto la visione della croce e del cri­sma cristiano e avrebbe udito queste parole: «In questo segno vincerai» Le truppe di Massenzio, figlio di Massimiano, Augusto d’Occidente durante l’Impero di Diocleziano, furono infatti sconfitte e Massenzio stesso morì annegato. 
[5] La battaglia di Bouvines (27 luglio 1214) fu lo scontro decisivo del primo grande conflitto internazionale tra coalizioni di eserciti nazionali in Europa. 
Nel gioco delle alleanze, orchestrato da papa Innocenzo III, Filippo Augusto di Francia inflisse ad Ottone IV di Germania e al conte Ferdinando di Fiandra una sconfitta così decisiva che Ottone venne deposto e sostituito da Federico II di Svevia. 
[6] La battaglia di Azincourt si svolse presso Azincourt il 25 ottobre 1415 nell'ambito della Guerra dei cent'anni, e vide scontrarsi le forze del Regno di Francia di Carlo VI contro quelle del Regno d'Inghilterra di Enrico V. 
In virtù della decisiva vittoria riportata dagli inglesi è considerata uno dei momenti più cupi della storia della Francia e al contrario uno dei più fulgidi della storia dell'Inghilterra. 
[7] La battaglia di Verdun fu l'unica grande offensiva tedesca, avvenuta tra la prima battaglia della Marna del 1914 e l'ultima offensiva del generale Ludendorff nella primavera del 1918. 
Fu una delle più violente e sanguinose battaglie di tutto il fronte occidentale della prima guerra mondiale. 
Questa spaventosa battaglia divenne una sacra leggenda nazionale in Francia, sinonimo di forza, eroismo e sofferenza, i cui effetti e ricordi perdurano ancora oggi; la battaglia coinvolse quasi i tre quarti delle armate francesi, e benché nella storia, e nella stessa prima guerra mondiale, ci siano state battaglie anche più cruente, Verdun detiene probabilmente il primato di campo di battaglia con il maggior numero di morti per metro quadro. 
[8] Ilya Prigogine (Mosca, 25 gennaio 1917 – Bruxelles, 28 maggio 2003) è stato un chimico e fisico russo naturalizzato belga, molto noto per le sue teorie sulle strutture dissipative, i sistemi complessi e l'irreversibilità. 
[9] Lo staurogramma è un monogramma, ottenuto sovrapponendo due lettere greche maiuscole, tau (T) e rho (P). Poichè il rho è scritto con un carattere più alto del tau, il simbolo risultante è una croce latina, in cui il braccio verticale superiore è dotato anche dell'occhiello del rho. 
[10] MAT Costantino privato - Nerone ha ucciso sua madre ed è passato alla storia come un mostro. Costantino ha cucinato sua moglie nell’acqua bollente ed è stato fatto santo. Strano caso davvero quello di Costantino (274-337 d.C.), signore dell’impero romano per oltre trent’anni, dal 306 alla morte. Più si leggono i testi antichi e più la sua figura appare inafferrabile. Da un lato, c’è l’eroe della leggenda cristiana, il campione della fede che trionfa in battaglia esibendo il simbolo della Croce («In hoc signo vinces», con questo segno vincerai). Dall’altro, c’è l’usurpatore violento e assetato di potere che conquista il trono massacrando i rivali, l’imperatore vizioso e debosciato, il politico cinico che si serve furbescamente del cristianesimo per puntellare il suo regime tirannico. 
L’illustre storico settecentesco Edward Gibbon confessò di avere dato alle fiamme più di cinquanta fogli del suo Declino e caduta dell’impero romano perché non sapeva come raccontare Costantino. 
[…] Per esempio, il lettore comune crede di sapere che l’imperatore inaugurò la stagione della tolleranza verso il cristianesimo con l’editto di Milano, promulgato nel 313. Poi uno legge il libro di Barbero e scopre che l’editto non fu promulgato a Milano, anzi non fu neppure un editto ma una semplice lettera circolare, per di più pubblicata non da Costantino ma dal suo collega-rivale Licinio. Anche la leggenda della visione miracolosa che, prima della battaglia contro Massenzio al Ponte Milvio, induce l’imperatore a schierare l’esercito sotto un’insegna cristiana, è raccontata in modi spesso contradditori. La celebre frase «In hoc signo vinces» è evocata solo nella Vita di Costantino di Eusebio, solerte biografo di corte. Peraltro Eusebio, che scrive in greco, non usa il futuro («vincerai») ma l’imperativo («vinci»). Quasi il comando divino fosse un urlo da stadio: «vinci» (níka) era infatti un grido che i tifosi usavano durante le gare dei carri negli ippodromi. 
Ma come si concilia il Costantino folgorato dalla visione cristiana con quello a cui, pochi anni prima, appare invece il dio Apollo, che l’imperatore avrebbe incontrato faccia a faccia nel 310 in un tempio della Gallia? E come spiegare che sull’Arco di Costantino, eretto nel 315 a Roma per celebrare la vittoria su Massenzio, di segni cristiani non ci sia traccia? Le legioni, anzi, vi sono raffigurate mentre marciano esibendo statuette della Vittoria e del Sole. E Costantino continuerà per anni a farsi rappresentare sulle monete portando sul capo il simbolo solare della corona radiata. 
Molti, insomma, restano gli aspetti oscuri e contraddittori della vita e dell’opera di Costantino. A partire dall’episodio morboso che coinvolge Crispo, suo figlio di primo letto. Si narrava che la nuova moglie di Costantino, Fausta, avesse sviluppato una passione incestuosa per il figliastro. Rifiutata, avrebbe accusato Crispo di stupro. L’imperatore mandò quindi a morte il figlio ma poi, scoperta la calunnia, avrebbe punito Fausta facendola cuocere nell’acqua bollente (o, secondo altri, buttandola nuda in pasto alle belve feroci). La vicenda, messa in questi termini, ha un sapore fiabesco e rimanda al mito greco di Fedra. Ma che Costantino abbia ucciso suo figlio e sua moglie è un fatto storico. 
Costantino, insomma, era «pari a un apostolo» (isapóstolos, come scriveva Eusebio) o era un tiranno sanguinario? Giuliano l’Apostata, suo discendente e successore, lo considerava soprattutto un debosciato. In un’operetta satirica, I Cesari, Giuliano immagina un bizzarro concorso che si svolge nell’Aldilà: gli imperatori del passato fanno a gara davanti agli dèi dell’Olimpo per stabilire chi di loro sia stato il più grande di tutti i tempi. Partecipa anche Costantino ma solo, si spiega, perché ci vuole qualcuno che rappresenti «gli amanti dei piaceri». Certo, Giuliano, restauratore del paganesimo, non poteva apprezzare Costantino. Ma il ritratto resta impressionante. 
E culmina nell’immagine di Costantino che, truccato e vestito di abiti multicolori, corre dietro a Gesù, sperando di potersi purificare dai suoi crimini con un po’ di acqua benedetta. 
Dopo Giuliano, la «leggenda nera» di Costantino viaggerà attraverso i secoli accanto alla favola cristiana. A Voltaire, l’imperatore apparirà come un «tiranno superstizioso» che solo «gli adulatori clericali» («flatteurs ecclésiastiques») possono considerare un grand’uomo. Difficile oggi sottoscrivere un giudizio così drastico. 
[11] Costantino così commentò l’editto, scrivendo a un suo corrispondente che chiedeva chiarimenti sui veri motivi dell'editto. Inoltre si ordinava la restituzione ai Cristiani dei beni confiscati. 
Costantino così credette opportuno di non negare a nessuno la facoltà di libera professione religiosa tanto per i Cristiani che per tutti gli altri, qualunque fosse il loro culto. E concludeva dicendo che aveva ritenuto opportuno abrogare le precedenti leggi contro i Cristiani perché le riteneva odiose e del tutto contrarie alla sua mansuetudine, lasciando così liberamente e semplicemente a tutti quelli che volevano seguire la nuova fede di praticarla senza molestie o impedimento alcuno. 
In questo editto veniva riconfermato quanto era stato detto in quello del 311; in più si ordinava la restituzione ai Cristiani dei beni confiscati, e il Cristianesimo veniva messo alla pari delle altre religioni. Nell'editto, inoltre, c'era una professione di fede monoteistica, parlando di Divinità anziché di Dèi, a questa Divinità si invocava il favore per i monarchi e per i sudditi. 
[12] Teodosio fu nominato augusto nel gennaio del 379 ed elesse come sede del suo quartier generale una delle diocesi che Graziano gli aveva affidato oltre l'Oriente, e cioè Tessalonìca, in Macedonia. Teodosio, il 27 febbraio del 380, emana il celebre editto di Tessalonìca, in cui ordina ai popoli a lui sottomessi di abbracciare la fede che era stata un tempo dell'apostolo Pietro, e li esorta a riconoscere la massima autorità nelle figure del papa ortodosso Dàmaso e del vescovo di Alessandria Pietro. 
L'intento di Teodosio è sicuramente di natura politica, intuendo egli quanto inammissibile e pericoloso si rivelasse il continuare delle divisioni religiose in oriente fra ariani ed antiariani. 
Ovviamente questa è la linea che il vescovo di Milano, Ambrogio, aveva sempre cercato di perseguire fin dalla sua elezione all'episcopato nel 374: una consonanza di posizioni. Un simile editto viene ripetuto da Teodosio nel 381, dopo essere guarito da una malattia che lo aveva portato in fin di vita. 
L'editto di Tessalonìca, firmato anche dagli imperatori Graziano e Valentiniano II, dichiara il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e proibisce i culti pagani. Contro gli eretici, egli esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. 
Il suo testo venne preparato dalla cancelleria di Teodosio I. Successivamente venne incluso nel codice Teodosiano. 
[13] . AA.VV., La storia fatta con i se, a cura di Cowley, Rizzoli, Milano 2001 La storia con i «se» 1/1 Lepre, Petraccone, Voci dell’Antichità, © Zanichelli editore 2010 
[14] Il sacco di Roma – Nella notte del 24 agosto del 410 Alarico, Re dei Visigoti, entrò con il suo esercito in Roma, passando per Porta Salaria. Seguirono tre giorni di saccheggi e violenze, anche se pare che fosse stato impartito l'ordine di non sacrificare vite umane e di risparmiare le chiese. 
Dopo queste tre giornate, che resteranno impresse a lungo negli occhi dei cittadini di Roma, i barbari abbandonarono l’Urbe e si diressero verso il Sud della penisola, con l’intenzione di raggiungere le coste africane per nuove invasioni e conquiste. Ma ecco l’imprevisto: Alarico, allora quarantenne, colto da improvvisa malattia, morì nei pressi dello Stretto. 
Narra la leggenda che i Visigoti, per evitare che mani romani potessero violare la tomba del loro re, deviarono il fiume Busento, nei pressi di Cosenza, e seppellirono nel suo letto Alarico in armi, insieme al suo cavallo ed al suo tesoro e successivamente ripristinarono il normale corso delle acque. Infine, gli schiavi utilizzati per deviare temporaneamente il corso del fiume vennero ammazzati, perché non rivelassero il segreto. 
La ballata è grave, cupa, come l’episodio che rievoca, vissuto anch’esso in uno dei periodi più cupi della decadenza dell’impero. 
E’ interessante notare che la caduta di Roma in mano ai barbari, dopo tanti secoli di gloria, fece un’impressione enorme nei contemporanei (mai un barbaro aveva osato tanto dai tempi di Brenno), tanto che vi fu chi presagì la prossima fine del mondo, e l’uomo che di tale sbigottimento era stato il principale artefice, fu considerato, almeno dalla sua gente, un grande eroe. Anche così si spiega il mistero con cui vollero circondare la sua sepoltura. 
Il poeta ha reso l’atmosfera da leggenda di questo episodio con molta efficacia. 
L’inconsueta opera che i compagni di Alarico compiono per nascondere per sempre la salma del loro re, assume, nella solitudine della morte e del luogo, una maestosa grandezza; le voci e i pianti dei guerrieri risuonano cadenzati e gravi risvegliando nel nostro cuore una lunga e misteriosa eco. 
[15] Il De reditu suo è un poema scritto da Claudio Rutilio Namaziano sulla decadenza dell'impero romano d'occidente nel V secolo. 
De reditu suo significa letteralmente "Sul proprio ritorno": Namaziano stava infatti facendo ritorno da Roma alla sua terra d'origine, la Gallia. Durante il viaggio descrive un impero in decadenza, influenzato dalle numerose popolazioni barbare ormai infilitratesi in esso, narrandone le passate e ormai perdute bellezze. 
[16] Claudio Rutilio Namaziano nacque forse a Tolosa, fu præfectus urbi di Roma nel 414. L'anno seguente o poco dopo fu costretto a lasciare Roma per far ritorno nei suoi possedimenti in Gallia devastata dall'invasione dei Vandali. 
Tale viaggio — condotto per mare e con numerose soste, perché le strade consolari erano impraticabili e insicure dopo l'invasione dei Goti — venne descritto nel De reditu suo, l'unica opera certamente sua rimastaci seppur incompleta. 
Namaziano è, cronologicamente, l'ultimo autore del mondo letterario latino e pagano. Dal punto di vista ideologico, è un aristocratico pagano che non accetta i tempi nuovi, rifiutando i culti cristiani, da lui considerati estranei alla tradizione di Roma.