Benvenuti in Quaderni di Lettere di Massimo Capuozzo

Sono presenti in questo sito le mie lezioni di grammantologia nel corso degli anni collaudate sul campo. Per le parti riguardanti la Storia mi sono valso della collaborazione del Dott. Antonio Del Gaudio

lunedì 21 marzo 2016

Mitografia di Cenerentola

Cenerentola Egizia
Tempo fa, nella antica terra d’Egitto dove le acque del Nilo erano verdi e il fiume sfociava nel blu del Mare Mediterraneo, viveva una giovane fanciulla di nome Rhodopis.
Lei era nata in Grecia ma era stata rapita dai pirati e portata in Egitto dove era poi stata venduta come schiava.
Il suo padrone si rivelò essere un vecchio uomo che trascorreva la maggior parte del suo tempo sotto un albero del sonno, in riva al fiume. A causa di questo non vedeva mai come tutte le ragazze serve si comportavano in casa.
In realtà le altre schiave avevano capelli neri mentre Rhodopis era bionda. Avevano tutte gli occhi marrone e lei li aveva verdi. La loro pelle era scura ma lei invece era pallida e rischiava di bruciarsi facilmente al sole per questo la soprannominarono Rosy Rhodopis.
Tutte queste differenze provocavano l’invidia e il fastidio delle altre schiave. Per questo motivo la facevano lavorare al loro posto. Lei però era diventata amica di tutti gli animali che l’aiutavano a fare le cose più pesanti.
Lei chiedeva: “Andate al fiume e lavare i vestiti”, e loro ubbidivano. Inoltre aveva addestrato gli uccelli a mangiare dalla sua mano, una scimmia a sedersi sulla sua spalla.
Alla fine della giornata, scendeva al fiume per stare con i suoi amici animali e ballava e cantava per loro. Anche perché il ballo e la musica erano un modo per ricordare la sua terra lontana.
Una sera, mentre danzava più leggera dell’aria con i suoi piedi che toccavano appena il suolo, il vecchio padrone si svegliò dal suo sonno e la vide. Ammirò la sua danza e pensò che un talento così non doveva camminare senza scarpe. Così ordinò per lei uno speciale paio di pantofole: erano scarpe dorate con sfumature rosa e rosse, dalle suole di cuoio. Le altre serve, ovviamente, furono gelose delle sue belle pantofole.
Un giorno il faraone Ahmose I decise di dare una grande festa e tutti nel regno furono invitati. Rhodopis sapeva che alla festa si ballava, cantava, e c’era un sacco di buon cibo. Avrebbe voluto andarci, ma le altre le affidarono un sacco di faccende da fare prima di uscire, poi indossarono i loro migliori abiti e andarono alla festa senza di lei.
Appena Rhodopis cominciò a lavare i vestiti nel fiume cantando una triste canzone, l’ippopotamo suo amico si stancò di sentirla così triste e uscì dal fiume schizzando dell’acqua sulle sue pantofole. Lei fu costretta a metterle ad asciugare al sole appese ad un filo.
Allora un falco venne attratto dal luccichìo dell’oro e piombò giù dal cielo e ne strappò via una. Intanto, alla festa, il faraone Ahmose I stava seduto sul suo trono molto annoiato. Improvvisamente il falco, passando di là, lasciò cadere verso il basso la pantofola d’oro proprio nel suo grembo. Il faraone rimase sorpreso, ma poi capì che quello era un segno di Horus. Così emise un decreto con cui stabiliva che tutte le fanciulle in Egitto dovevano misurare la pantofola, e la proprietaria sarebbe stata la sua regina. Dopo avere cercato per terra senza trovare la proprietaria, salì sulla sua chiatta e cominciò a viaggiare sul Nilo sempre in cerca della fanciulla proprietaria della pantofola. Passò di fronte alla casa di Rhodopis e i suoi servitori suonarono il gong, la tromba sottile, ed alzarono la vela di seta viola. Tutte le serve corsero per provare la scarpa, mentre la povera Rhodopis si nascose dietro un giunco.
Quando videro la scarpa riconobbero che era di Rhodopis, ma non dissero nulla e cercarono di infilarsela loro.
Il faraone si accorse della presenza di Rhodopis dietro al giunco e le chiese di provare la pantofola. Lei fece scivolare il suo piccolo piede nella pantofola e poi tirò fuori anche l’altra scarpa. Così il faraone decise che sarebbe stata la sua regina.
Allora le altre, per invidia, protestarono e dissero a gran voce che lei non era nemmeno egiziana! Il faraone rispose: “Lei è più egiziana di tutti... perché i suoi occhi sono verdi come il Nilo, la sua capigliatura è dorata come papiro la sua pelle rosa come un fiore di loto”. Nessuna di loro osò replicare.

Charles Perrault, l'autore di Cappuccetto rosso, La bella addormentata e Cenerentola era nato 388 anni fa, il 12 gennaio 1628, e Google che oggi lo celebra con un doodle ha permesso a molti di ricordarlo e ad ancora più persone di scoprirlo. Ma chi era questo scrittore francese a cui dobbiamo la maggior parte delle fiabe più famose del mondo occidentale?
Perrault era nato a Parigi e prima di dedicarsi alla scrittura era un avvocato. Di famiglia ricca e altoborghese, studiò infatti nelle scuole migliori di Francia, si laureò in Legge, dedicandosi in seguito ai servizi statali. Fu anche grazie a lui che venne fondata l'Accademia delle Scienze di Francia.
La sua produzione letteraria non è stata particolarmente originale, ma è a lui che dobbiamo, ben 200 anni prima dei fratelli Grimm, la prima e più importante raccolta di fiabe in poesia e prosa tratte dalla tradizione orale europea.
Nel 1695, all'età di 67 anni, scrisse infatti la raccolta "Storie e racconti dei tempi passati, con la morale" (Histoires ou contes du temps passé, avec des moralitez), più note col titolo di "Racconti di Mamma Oca" (Contes de ma mère l'Oye). Si tratta di una serie di racconti morali progettati per indurre il lettore a riflettere sui dilemmi presentati ai protagonisti delle fiabe.
Le più famose sono La belle au bois dormant (La bella addormentata nel bosco), Le petit chaperon rouge (Capuccetto rosso), Le chat botté (il gatto con gli stivali), Cendrillon (Cenerentola), Le petit poucet(Pollicino), Peau d'asne (Pelle d'asino), Riquet à la houppe (Enrichetto dal ciuffo).

Cenerentola
di Perrault
Cera una volta un gentiluomo il quale in seconde nozze si pigliò una moglie che la più superba non s'era mai vista. Aveva costei due figlie che in tutto e per tutto la somigliavano. Dal canto suo, il marito aveva una ragazza, ma così dolce e buona che non si può dire: doveva queste qualità  alla mamma, che era stata la più brava donna di questo mondo. Subito dopo fatte le nozze, la madrigna diè sfogo al suo malanimo. Non potea soffrire le doti della giovanetta, che rendevano ancor più odiose le figlie sue. La incaricò dei più bassi servizi della casa: toccava a lei lavare i piatti e spazzar le scale, stropicciare l'impiantito in camera della signora e delle signorine figlie; dormiva in cima alla casa, in un granaio, sopra un misero pagliericcio, mentre alle sorelle erano assegnate camere con pavimenti intarsiati, letti di ultima moda, e specchi in cui si miravano da capo a piedi. La povera ragazza soffriva tutto con pazienza, nè osava lamentarsi col padre, perché questi l'avrebbe sgridata, visto che dalla moglie si facea comandare a bacchetta. Finito il suo lavoro, mettevasi accanto al camino e si sedeva nella cenere, epperò in casa la si chiamava comunemente Cucciolona; la minore delle due sorelle, non  tanto sgarbata quanto l'altra, la chiamava Cenerentola. Eppure Cenerentola, infagottata com'era nei suoi cenci, era cento volte più bella delle sorelle sfarzosamente vestite.
Accadde che il figlio del Re diede un ballo, invitandovi tutte le persone di conto. Anche le  nostre due signorine ebbero l'invito, perchè facevano gran figura nel paese. Eccole tutte contente e affaccendate per scegliere gli abiti e le acconciature che stessero lor meglio: novella fatica per Cenerentola, perchè doveva lei stirar la biancheria delle sorelle e pieghettarne i manichini. Non si parlava che dei vestiti da mettersi. "Io, disse la maggiore mi metterò l'abito di velluto rosso e i pizzi d'Inghilterra." "Per me, disse l'altra, non avrò che  la veste solita; ma in compenso mi metterò il mantello fiorato d'oro e la collana di diamanti, che non è mica una cosa da niente". Si mandò a chiamare la crestaia perchè aggiustasse le cuffiette a doppia gala e si comprarono dei nei dalla profumiera. A Cenerentola anche domandarono un parere, perchè la sapevano di buongusto. Ceneren tola le consigliò che meglio non si poteva e si offrì perfino di pettinarle, al che le due sorelle si degnarono di accettare. Mentre si facevano pettinare, le dicevano: "Ti piacerebbe di andare al ballo, Cenerentola? "Ahimè! signorine, voi vi burlate di me; non è cosa per me." "Hai ragione; sarebbe un gran ridere, se si vedesse al ballo una Cucciolona." Un'altra le avrebbe pettinate alla diavola; ma Cenerentola era buona e le pettinò a perfezione. Stettero quasi due giorni senza mangiare, tanto erano fuor di sè dalla gioia; più di dodici laccetti si spezzarono, a furia di stringere i busti per far loro la vita sottile; e tutti i momenti si miravano allo specchio.
Spuntò finalmente il giorno felice. Le due sorelle andarono, e Cenerentola le seguì con gli occhi finchè potette. Quando non le vide più, si mise a piangere. La comare che la vide tutta in lagrime, le domandò che avesse. "Vorrei... vorrei tanto..." Piangeva così forte che non potette finire. La comare, che era Fata, le disse: "Vorresti andare al ballo, non è così?" Oh, sì! sospirò Cenerentola," "Ebbene, dice l'altra, se sarai buona, ti faccio andare". Se la menò in camera e le disse: "Va in giardino e portami una zucca." Cenerentola subito  andò a cogliere la più bella che le  riuscì di trovare, e la portò alla comare, senza capire come mai quella zucca l'avrebbe fatta andare al ballo. La comare la vuotò, e quando non fu rimasta che la sola scorza, la percosse con la sua bacchetta, e la zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata. Andò poi a guardar nella trappola, e trovativi sei topolini ancora vivi, disse a Cenerentola di alzare un tantino il caditoio. I topolini ne uscirono ad uno ad uno; ed ella subito un colpo di bacchetta, e il topolino mutavasi di botto in un bel cavallo; in meno di niente si ebbe così un magnifico attacco di sei cavalli d'un bel grigio sorcio pomellato. Vistala poi in pena da che cosa dovesse fare un cocchiere, disse Cenerentola: "Vado a vedere chi sa mai ci fosse qualche sorcione nella trappola grande; ne faremo un cocchiere." "Hai ragione, approvò la comare, va a vedere". Cenerentola le portò la trappola, e c'erano infatti tre sorcioni: la Fata ne prese uno, che avea tanto di barbigi, e  toccatolo appena, lo trasformò in un grosso cocchiere, che aveva un par di baffi i più belli che si sian mai visti. Poi le disse: "Va in giardino, troverai dietro l'innaffiatoio sei lucertole, portale qui." Avutele appena, le mutò in sei lacchè, che montarono subito dietro la carrozza coi loro abiti gallonati, e vi si tennero attaccati come se non avessero fatto altro per tutta la vita. La Fata disse allora a Cenerentola: "Ecco fatto, adesso puoi andare al ballo: sei contenta?"  Sì, ma come fo ad andarci, con questi miei cenci indosso?" La comare non fece che toccarla con la bacchetta, e nel punto stesso gli abiti cenciosi  diventarono d'oro e d'argento, tempestati di pietre preziose. Le diè poi un par di pantofole di vetro, le più belle del mondo. Così adornata, Cenerentola montò in carrozza; ma la comare le raccomandò, sopra ogni cosa, di non passar mezzanotte; un momento di più che rimanesse al ballo, la carrozza sarebbe ridiventata zucca, i cavalli sarebbero tornati topolini, i lacchè lucertole e gli abiti sfoggiati più cenciosi che mai. Promise Cenerentola alla comare di lasciare il ballo prima di mezzanotte, e partì, fuor di sè dalla contentezza.
Il figlio del re, avvertito dell'arrivo d'una grande principessa, che nessuno conosceva, le corse incontro. Le porse la mano per farla smontar di carrozza, e la menò nella sala dove gl'invitati erano raccolti. Un gran silenzio si fece; cessò il ballo, tacquero i violini, tanto si era intenti a contemplare le grandi bellezze dell'incognita. Udivasi solo un confuso vocio: "Ah! com'è bella!" Anche il re, tuttochè vecchio, non si stancava di guardarla, ripetendo sommesso alla regina che da un gran pezzo non gli capitava di vedere una persona così bella ed amabile. Tutte le dame osservavano con grande attenzione l'acconciatura e gli abiti di lei, per averne il giorno appresso dei simili, dato che si trovassero così belle stoffe ed operai abbastanza bravi. Il figlio del re la fece sedere al posto d'onore, e poi la prese per mano, invitandola a ballare; e Cenerentola ballò con tanta grazia da suscitare una sempre più viva ammirazione. Si portò poi una bellissima refezione, che il giovane principe non toccò nemmeno, tanto era occupato a contemplar la fanciulla. Questa andò a sedere accanto alle sorelle e le colmò di gentilezze, offrendo loro perfino delle arance e dei limoni datile dal principe: il che le maravigliò assai, perchè non la conoscevano. Mentre così discorrevano, Cenerentola sentì battere le undici e tre quarti; fece subito una grande riverenza alla brigata e scappò via più che di fretta. Arrivata a casa, corse dalla comare, la ringraziò, le disse che con tanto piacere sarebbe tornata al ballo la sera appresso, perchè il figlio del re ne l'aveva pregata. Prese poi a narrarle tutto ciò che era accaduto, e in quel mentre le due sorelle bussarono alla porta. Cenerentola andò ad aprire. "Come arrivate tardi!" esclamò sbadigliando, fregandosi gli occhi e stirando le braccia come se allora allora si fosse svegliata; eppure, da che s'erano lasciate, non l'era mai venuto voglia di dormire. "Se tu fossi venuta al ballo, disse una delle sorelle, non ti saresti annoiata: ci è venuta una bella principessa, la più bella che si possa mai vedere. Mille finezze ci ha fatto; ci ha dato delle arance e dei limoni." Cenerentola era fuor di sè dalla gioia; domandò come si chiamasse quella principessa, ma le sorelle risposero che nessuno la conosceva, che il figlio del re non trovava più pace, e che tutto avrebbe dato per saper chi fosse. Cenerentola sorrise e disse: "Era proprio bella assai? Beate voi! Oh, se potessi anch'io vederla... Sentite, signorina Javotte, prestatemi l'abito giallo che voi indossate tutti i giorni." "Davvero! esclamò la signorina Javotte; prestare il mio bell'abito a una sudicia Cucciolona come te! Fossi matta!" Cenerentola si aspettava questo rifiuto, e ne fu contentissima, perchè si sarebbe trovata molto imbarazzata se la sorella avesse consentito a prestarle il vestito.
La sera appresso, le due sorelle andarono al ballo, e Cenerentola pure, ma molto più ornata dell'altra volta. Il figlio del re le stette sempre a fianco, susurrandole ogni sorta di galanterie; la fanciulla non s'annoiava e dimenticò quel che la comare le aveva raccomandato; sicchè sentì sonare il primo colpo di mezzanotte, quando si figurava che non fossero ancora le undici. Si alzò e scappò via leggiera come una cerva; il principe le corse dietro, ma non riuscì a raggiungerla. Nella fuga, una pantofola di vetro le cadde, e il principe la raccolse con gran cura. Tornò a casa Cenerentola affannando, senza carrozza, senza lacchè, e con indosso le sue vesti cenciose: di tutta la sua magnificenza non avanzava che una pantofolina, la compagna di quella cadutale dal piede. Fu domandato alle guardie di palazzo se avessero visto uscire una principessa; dissero di aver visto uscire solo una ragazza assai mal vestita, che sembrava più che altro una contadina.
Quando le sorelle tornarono dal ballo, Cenerentola domandò loro se si fossero divertite anche stavolta, e se la bella signora c'era stata; risposero di sì, ma che se n'era scappata al tocco di mezzanotte, e con tanta furia da lasciarsi cadere una delle sue pantofoline di vetro, la più bella del mondo; che il figlio del re l'avea raccolta, che per tutto il resto del ballo non avea fatto che guardarla, e che certamente era innamorato pazzo della bella creatura a cui la pantoffolina apparteneva. Ed era proprio vero; perchè, pochi giorni dopo, il figlio del re fece bandire a suon di tromba ch'egli avrebbe sposato colei al  cui piede quella pantofola fosse di misura. Si cominciò prima a provarla alle principesse, poi alle duchesse, poi a tutta la corte, ma inutilmente.
La si portò dalle due sorelle, che fecero tutto il possibile per farvi entrare il piede, ma non vi riuscirono. Cenerentola, che le guardava e avea riconosciuto la sua pantofola, disse ridendo: "Vediamo un pò se mi va a me!" Le sorelle si misero a ridere e a motteggiarla. Il gentiluomo, incaricato di provar la pantofola, guardò fisso a Cenerentola, e avendola trovata assai bella, disse che la cosa era giusta e ch'egli aveva ordine di provarla a tutte le ragazze. Fatta sedere Cenerentola e accostatale la pantofola al piedino, vide che la si calzava senza fatica e vi si adattava come se fosse di cera. Grande fu lo stupore delle due sorelle, ma anche maggiore, quando videro che Cenerentola cavava di tasca la pantofolina compagna e se la calzava. Arrivò a questo punto la comare, e con un colpo di bacchetta fece diventare gli abiti di Cenerentola ancor più sfarzosi di tutti gli altri. Allora le due sorelle riconobbero in lei la bella principessa del ballo. Le si gettarono ai piedi, e le domandarono perdono di tutti i mali trattamenti che le avean fatto soffrire. Cenerentola le fece alzare, le abbracciò perdonò loro di tutto cuore, e le pregò di volerla sempre bene. Tutta adorna com'era, la si condusse dal giovane principe, questi la trovò più bella che mai, e pochi giorni dopo la sposò. Cenerentola che era non meno buona che bella, fece alloggiare le due sorelle a palazzo reale, e le maritò, lo stesso giorno, a due gran signori della Corte.
Morale
La bellezza è per la donna un gran tesoro, nè mai ci si stanca di ammirarla; ma assai più vale la buona grazia. Questa diè a Cenerentola la comare, educandola, istruendola fino a farne una regina. Questo dono, o belle, ha più potere di una ricca acconciatura per avvincere un cuore e farlo proprio. La buona grazia è il vero dono delle Fate; senza di essa, nulla si può; con essa, tutto.
Altra morale
Gran che certo, avere ingegno, coraggio, nobiltà, buon senso, e simili pregi che vi vengono dal cielo; ma a nulla vi serviranno per avanzar nella vita, se non avete o dei compari o delle comari che li facciano valere.

SUCCESSO E COPIE. Il libro ebbe un enorme successo e venne tradotto in tutta Europa, fondando il nuovo genere delle fiabe. I suoi racconti e alcune delle sue favole influenzarono le versioni tedesche scritte dai fratelli Grimm nel '800.
LIETO FINE? Non tutte le fiabe, così come le conosicamo, sono quelle "originali" di Perrault. Prendiamo per esempio Cappuccetto Rosso. La versione di Perrault finisce drammaticamente quando la bambina viene mangiata dal lupo. Senza cacciatori salvifici e tagli nella pancia del lupo. Ma con la morale lapidale: non fidarsi degli sconosciuti.
Anche la Bella addormentata è un mix tra l'originale di Perrault (che a sua volta si faceva a un racconto orale che risaliva al 14° Secolo) e la versione dei fratelli Grimm.
ADDOLCIRE LA PILLOLA. Le continue riscritture delle fiabe raccolte dalla tradizione, alle quali si adattarono Perrault e anche i Grimm, avevano lo scopo di addolcire i racconti per evitare coivolgimenti emotivi e cattivi esempi ai bambini della società borghese. Non però senza creare altre vittime: la figura della matrigna cattiva deriva dal fatto che i racconti originali di mamme naturali ostili verso i propri figli erano da censurare per la morale puritana. La colpa doveva essere delle seconde mogli.

Cenerentola
Dalle Fiabe dei fratelli Grimm
La moglie di un ricco si ammalò e, quando sentì avvicinarsi la fine, chiamò al capezzale la sua unica figlioletta e le disse: "Sii sempre docile e buona, così il buon Dio ti aiuterà e io ti guarderò dal cielo e ti sarò vicina." Poi chiuse gli occhi e morì. La fanciulla andava ogni giorno alla tomba della madre, piangeva ed era sempre docile e buona. La neve ricoprì la tomba di un bianco drappo, e quando il sole l'ebbe tolto, l'uomo prese moglie di nuovo.
La donna aveva due figlie che portò con s' in casa, ed esse erano belle e bianche di viso, ma brutte e nere di cuore. Per la figliastra incominciarono tristi giorni. "Che vuole quella buona a nulla in salotto?" esse dicevano. "Chi mangia il pane deve guadagnarselo: fuori, sguattera!" Le presero i suoi bei vestiti, le diedero da indossare una vecchia palandrana grigia e la condussero in cucina deridendola. Lì doveva sgobbare per bene: si alzava prima che facesse giorno, portava l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava e lavava. Per giunta le sorelle gliene facevano di tutti i colori, la schernivano e le versavano ceci e lenticchie nella cenere, sicché‚ doveva raccoglierli a uno a uno. La sera, quando era stanca, non andava a letto, ma doveva coricarsi nella cenere accanto al focolare. E siccome era sempre sporca e impolverata, la chiamavano Cenerentola.
Un giorno, il padre volle recarsi alla fiera e chiese alle due figliastre che cosa dovesse portare loro. "Bei vestiti," disse la prima. "Perle e gemme," disse la seconda. "E tu, Cenerentola," disse egli, "che cosa vuoi?" - "Babbo, il primo rametto che vi urta il cappello sulla via del ritorno," rispose Cenerentola. Così egli comprò bei vestiti, perle e gemme per le due figliastre; e sulla via del ritorno, mentre cavalcava per un verde boschetto, un ramo di nocciolo lo sfiorò e gli fece cadere il cappello. Allora egli colse il rametto e quando giunse a casa diede alle due figliastre quello che avevano chiesto, e a Cenerentola diede il ramo di nocciolo. Cenerentola lo prese, andò a piantarlo sulla tomba della madre, e pianse tanto che le lacrime l'innaffiarono. Così crebbe e divenne un bell'albero. Cenerentola ci andava tre volte al giorno, piangeva e pregava e ogni volta si posava sulla pianta un uccellino che le dava ciò che aveva desiderato.
Ora avvenne che il re diede una festa che doveva durare tre giorni, perché‚ suo figlio potesse scegliersi una sposa. Anche le due sorellastre erano invitate, così chiamarono Cenerentola e dissero: "Pettinaci, spazzola le scarpe e assicura le fibbie: andiamo a ballare alla festa del re." Cenerentola ubbidì ma piangeva, perché‚ anche lei sarebbe andata volentieri al ballo, e pregò la matrigna di accordarle il permesso. "Tu, Cenerentola," disse questa, "non hai niente da metterti addosso, non sai ballare, e vorresti andare a nozze!" Ma Cenerentola insisteva e la matrigna finì col dirle: "Ti rovescerò nella cenere un piatto di lenticchie e se in due ore le sceglierai tutte, andrai anche tu." La matrigna le rovesciò le lenticchie nella cenere, ma la fanciulla andò nell'orto dietro casa e chiamò: "Dolci colombelle mie, e voi, tortorelle, e voi, uccellini tutti del cielo, venite e aiutatemi a scegliere le lenticchie:
Quelle buone me le date,
Le cattive le mangiate."
Allora dalla finestra della cucina entrarono due colombe bianche e poi le tortorelle e infine, frullando e svolazzando, entrarono tutti gli uccellini del cielo e si posarono intorno alla cenere. E le colombelle annuirono con le testine e incominciarono, pic, pic, pic, pic, e allora ci si misero anche gli altri, pic, pic, pic, pic, e raccolsero tutti i grani buoni nel piatto. Non era passata un'ora che avevano già finito e volarono tutti via. Allora la fanciulla, tutta contenta, portò il piatto alla matrigna e credeva di poter andare a nozze anche lei. Ma la matrigna disse: "No, Cenerentola; non hai vestiti e non sai ballare; non verrai." Ma Cenerentola si mise a piangere, e quella disse: "Se in un'ora riesci a raccogliere dalla cenere e a scegliere due piatti pieni di lenticchie, verrai anche tu." E pensava: "Non ci riuscirà mai." Quando la matrigna ebbe versato i due piatti di lenticchie nella cenere, la fanciulla andò nell'orto dietro casa e gridò: "Dolci colombelle mie, e voi, tortorelle, e voi, uccellini tutti del cielo, venite e aiutatemi a scegliere:
Quelle buone me le date,
Le cattive le mangiate."
Allora dalla finestra della cucina entrarono due colombe bianche e poi le tortorelle ed infine, frullando e svolazzando, entrarono tutti gli uccellini del cielo e si posarono intorno alla cenere. E le colombelle annuirono con le loro testoline e incominciarono, pic, pic, pic, pic, e allora ci si misero anche gli altri, pic, pic, pic, pic, e raccolsero tutti i grani buoni nei piatti. E non era passata mezz'ora che avevano già finito e volarono tutti via. Allora la fanciulla, tutta contenta, portò i piatti alla matrigna e credeva di potere andare a nozze anche lei. Ma la matrigna disse: "E' inutile: tu non vieni, perché‚ non hai vestiti e non sai ballare; dovremmo vergognarci di te." Così detto se ne andò con le sue due figlie.
Rimasta sola, Cenerentola andò alla tomba della madre sotto il nocciolo, e gridò:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"
Allora l'uccello le gettò un abito d'oro e d'argento e scarpette trapunte di seta e d'argento. Cenerentola indossò l'abito e andò a nozze. Ma le sorelle e la matrigna non la riconobbero e pensarono che fosse una principessa sconosciuta, tanto era bella nell'abito così ricco. A Cenerentola non pensarono affatto, e credevano che se ne stesse a casa nel sudiciume. Il principe le venne incontro, la prese per mano e danzò con lei. E non volle ballare con nessun'altra; non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava diceva: "E' la mia ballerina."
Cenerentola danzò fino a sera, poi volle andare a casa. Il principe disse: "Vengo ad accompagnarti," perché‚ voleva vedere da dove veniva la bella fanciulla, ma ella gli scappò e balzò nella colombaia. Il principe allora aspettò che ritornasse il padre e gli disse che la fanciulla sconosciuta era saltata nella colombaia. Questi pensò: Che sia Cenerentola? e si fece portare un'accetta e un piccone per buttar giù la colombaia; ma dentro non c'era nessuno. E quando rientrarono in casa, Cenerentola giaceva sulla cenere nelle sue vesti sporche e un lumino a olio ardeva a stento nel focolare. Ella era saltata velocemente fuori dalla colombaia ed era corsa al nocciolo; là si era tolta le belle vesti, le aveva deposte sulla tomba e l'uccello le aveva riprese; ed ella nella sua palandrana grigia si era distesa sulla cenere in cucina.
Il giorno dopo quando la festa ricominciò e i genitori e le sorellastre erano di nuovo usciti, Cenerentola andò sotto al nocciolo e gridò:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"
Allora l'uccello le gettò un abito ancora più superbo del primo. E quando comparve a nozze così abbigliata, tutti si meravigliarono della sua bellezza. Il principe l'aveva aspettata, la prese per mano e ballò soltanto con lei. Quando la invitavano gli altri, diceva: "Questa è la mia ballerina." La sera ella se ne andò e il principe la seguì per sapere dove abitasse; ma ella fuggì d'un balzo nell'orto dietro casa. Là c'era un bell'albero alto da cui pendevano magnifiche pere; svelta, ella vi si arrampicò e il principe non sapeva dove fosse sparita. Ma attese che arrivasse il padre e gli disse: "La fanciulla sconosciuta mi è sfuggita e credo che si sia arrampicata sul pero." Il padre pensò: Che sia Cenerentola? Si fece portare l'ascia e abbatté‚ l'albero, ma sopra non vi era nessuno. E quando entrarono in cucina, Cenerentola giaceva come al solito sulla cenere: era saltata giù dall'altra parte dell'albero, aveva riportato le belle vesti all'uccello sul nocciolo, e aveva indossato la sua palandrana grigia.
Il terzo giorno, quando i genitori e le sorelle se ne furono andati, Cenerentola tornò alla tomba di sua madre e disse all'alberello:
"Scrollati pianta, stammi a sentire,
d'oro e d'argento mi devi coprire!"
Allora l'uccello le gettò un vestito così lussuoso come non ne aveva ancora veduti, e le scarpette erano tutte d'oro. Quando ella comparve a nozze, la gente non ebbe più parole per la meraviglia. Il principe ballò solo con lei; e se qualcuno la invitava, egli diceva: "E' la mia ballerina."
Quando fu sera Cenerentola se ne andò; il principe voleva accompagnarla ma ella gli sfuggì. Tuttavia perse la sua scarpetta sinistra, poiché‚ il principe aveva fatto spalmare tutta la scala di pece e la scarpa vi era rimasta appiccicata. Egli la prese e, con essa, si recò il giorno seguente dal padre di Cenerentola e disse: "Colei che potrà calzare questa scarpina d'oro sarà mia sposa." Allora le due sorelle si rallegrarono perché‚ avevano un bel piedino. La maggiore andò con la scarpa in camera sua e voleva provarla davanti a sua madre. Ma la scarpa era troppo piccola e il dito grosso non le entrava; allora la madre le porse un coltello e disse: "Tagliati il dito: quando sarai regina non avrai più bisogno di andare a piedi." La fanciulla si mozzò il dito, serrò il piede nella scarpa e andò dal principe. Egli la mise sul cavallo come sua sposa e partì con lei. Ma dovettero passare davanti alla tomba; sul nocciolo erano posate due colombelle che gridarono:
"Voltati e osserva la sposina: ha del sangue nella scarpina,
per il suo piede è troppo stretta.
Ancor la sposa in casa t'aspetta."
Allora egli le guardò il piede e ne vide sgorgare il sangue. Voltò il cavallo, riportò a casa la falsa sposa e disse: "Questa non è quella vera; l'altra sorella deve provare la scarpa." Questa andò nella sua camera e riuscì a infilare le dita nella scarpa, ma il calcagno era troppo grosso. Allora la madre le porse un coltello e le disse: "Tagliati un pezzo di calcagno: quando sarai regina non avrai bisogno di andare a piedi." La fanciulla si tagliò un pezzo di calcagno, serrò il piede nella scarpa e andò dal principe. Questi la mise sul cavallo come sposa e andò via con lei. Ma quando passarono davanti al nocciolo, le due colombelle gridarono:
"Voltati e osserva la sposina:
ha del sangue nella scarpina,
per il suo piede è troppo stretta.
Ancor la sposa in casa t'aspetta."
Egli le guardò il piede e vide il sangue sgorgare dalla scarpa, sprizzando purpureo sulle calze bianche. Allora voltò il cavallo e riportò a casa la falsa sposa. "Questa non è quella vera," disse. "Non avete un'altra figlia?" - "No," rispose l'uomo, "c'è soltanto una piccola brutta Cenerentola della moglie che mi è morta: ma non può essere la sposa." Il principe gli disse di mandarla a prendere, ma la matrigna rispose: "Ah no, è troppo sporca, non può farsi vedere." Ma egli lo volle assolutamente e dovettero chiamare Cenerentola. Ella prima si lavò ben bene le mani e il viso, poi andò e si inchinò davanti al principe che le porse la scarpina d'oro. Allora ella si tolse dal piede il pesante zoccolo, l'infilò nella scarpetta e spinse un poco: le stava a pennello. E quando si alzò, egli la riconobbe e disse: "Questa è la vera sposa!" La matrigna e le due sorellastre si spaventarono e impallidirono dall'ira, ma egli mise Cenerentola sul cavallo e se ne andò con lei. Quando passarono davanti al nocciolo, le due colombelle bianche gridarono:
"Volgiti e guarda la sposina,
non c'è più sangue nella scarpina,
calza il piedino in modo perfetto.
Porta la sposa sotto il tuo tetto."
E, dopo aver detto queste parole, scesero in volo e si posarono sulle spalle di Cenerentola, una a destra e l'altra a sinistra, e lì rimasero.
Quando stavano per essere celebrate le nozze con il principe, arrivarono le false sorellastre: esse volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. All'entrata della chiesa, la maggiore si trovò a destra di Cenerentola, la minore alla sua sinistra. Allora le colombe cavarono un occhio a ciascuna. Poi, all'uscita, la maggiore era a sinistra e la minore a destra; e le colombe cavarono a ciascuna l'altro occhio. Così esse furono punite con la cecità per essere state false e malvagie.

LE REGOLE DEL GIOCO. Le fiabe, originali o rimaneggiate, hanno schemi fissi. Si differenziano dai miti per il fatto che questi servono di solito a impreziosire le origini di un popolo o di uno Stato, o a legittimare i princìpi etici delle religioni. Le fiabe, invece, non rientrano nella sfera istituzionale, ma restano nell’ambito dell’esperienza e della morale popolare.
Il filologo russo Vladimir Propp nel libro Morfologia della fiaba (1927) chiarì le loro comuni regole narrative. Per esempio, dopo un inizio di vita normale, l’equilibrio viene interrotto da un problema grave o un’ingiustizia, che coinvolge di solito una persona comune. Che diviene l’eroe della storia.
Per rimediare si mette in viaggio e incontra un personaggio potente o magico che prima lo mette alla prova, poi gli fornisce i mezzi e le informazioni per riuscire nell’impresa. L’eroe vittorioso (libera qualcuno, sconfigge il cattivo, recupera un oggetto particolare e così via) si rimette sulla via di casa. Ma il ritorno non è sempre tranquillo.
Giunto nei pressi della sua meta, scopre che ci sono degli usurpatori, quindi si presenta in incognito per poi svelarsi, sconfiggerli e ristabilire tutti gli equilibri. Queste regole, fatte le debite proporzioni, possono accomunare una semplice fiaba come Pollicino all’Odissea o a un film come I guerrieri della notte.
FAVOLE CON TRAME SIMILI. Ci sono molte fiabe nate da tradizioni popolari diverse che hanno trame simili. Per esempio, Hansel e Gretel, Fratellino e Sorellina o Agnellino e Pesciolino (raccolte dai Grimm), Pollicino (da Perrault), Ninnillo e Nennella (dal napoletano Basile), Sorella Alionushka e Fratello Ivanushka (dal russo Alexander Afanasyev) o la ballata inglese Babies in the Wood, parlano sempre di bambini abbandonati nei boschi dai familiari.
Miracolosamente, i protagonisti se la cavano, tornano a casa spesso più ricchi di prima e aiutano la famiglia invece di fargliela pagare per i maltrattamenti e l’abbandono.
Il motivo, secondo l’analisi di Propp, è da ricercarsi in riti che si svolgono ancora oggi in alcune tribù dell’Africa, della Nuova Guinea o della foresta amazzonica. Lì, a portare nel bosco i giovani non sono i familiari di Pollicino o di Hansel e Gretel, ma fratelli maggiori e padri reali nelle cerimonie di iniziazione. Per sottoporli a prove dolorose e paurose per farne degli adulti.